Appunti di etno-antropologia: Etnocentrismo, Evoluzionismo culturale, Relativismo culturale (da Cultura egemonica e culture subalterne di Alberto Cirese)
Il concetto etno-antropologico di cultura è il risultato del superamento di un atteggiamento mentale che va sotto il nome di etnocentrismo, che consiste sostanzialmente nel fatto che le forme, i contenuti e più in generale i “valori” della propria cultura vengono assunti come metro di misura e di valutazione delle forme dei contenuti e dei valori delle culture altrui.
Di conseguenza vengono giudicati positivamente tutti i fatti che rientrano nei propri quadri che rispondono ad altre concezioni e visioni del mondo.
Ciò vale soprattutto nei confronti delle società etnologiche o primitive che da molti punti di vista appaiono come le più remote dai nostri modi di vita e di pensiero e più in generale dai modi di vita delle società correntemente dette “superiori”.
Ma c’è anche una particolare forma di etnocentrismo che agisce nei rapporti interni alle società “superiori”, e che possiamo chiamare esclusivismo culturale, che consiste nel fatto che i comportamenti e le concezioni degli strati subalterni e periferici vengono rigettati fuori dai confini della cultura perché non concordi con gli atteggiamenti e i valori dei ceti dominanti e “colti”, e più in generale perché non collimanti con i modi “ufficiali” di vedere il mondo. Gli atteggiamenti etnocentrici, e l’esclusivismo culturale, precludono ovviamente la possibilità di studiare scientificamente le culture diverse dalla nostra e dunque operano in base a un pre-giudizio.
La condizione per lo studio dei gruppi socio-culturali “altri” dal nostro è dunque che si accetti di considerare come “relative” tutte le culture, ivi compresa la nostra: che si accetti insomma l’esistenza di una “pluralità di culture”, e che si adottino gli strumenti concettuali capaci di renderle tutte comprensibili.
L’atteggiamento di rifiuto dell’etnocentrismo e di accettazione della pluralità delle culture va spesso sotto il nome generale di relativismo culturale.
Il riferimento alla pluralità delle culture, imprescindibile come riconoscimento di uno stato di fatto e come assunzione di uno strumento di comprensione delle situazioni “altre” non deve trasformarsi in un’ideologia, pena la propria negazione: per questa via infatti si può giungere ad una equiparazione acritica e indiscriminata di tutte le culture, con la contradditoria conseguenza che, visto che l’una vale l’altra, tanto vale chiudersi nella propria; oppure, visto che ogni cultura si misura dall’interno, e che noi siamo all’interno della nostra e non di quelle altrui allora non c’è possibilità di capire le culture “altre”.
Il momento dell’esame interno a ciascuna cultura è solo un momento dell’indagine complessiva: quest’ultima deve integrare i risultati dell’esame in quadri contestuali più ampi nei quali alla equiparazione in linea di principio delle diverse culture deve accompagnarsi il riconoscimento delle differenze di fatto secondo criteri che non sono più quelli grossolani e inconsapevoli dell’etnocentrismo ma che tengono conto di un aspetto fondamentale e spesso trascurato dei relativisti culturali: i rapporti reali di potere, intesi in tutti i sensi, e cioè come rapporti di forza economico-politica e come diversa disponibilità di mezzi di conoscenza, controllo e trasformazione della natura.
Quando si tenga conto di questa fondamentale differenza di forze reali appare chiaro che le concezioni del mondo che diciamo etnologiche o demologiche si trovano necessariamente in condizione di inferiorità subalterna rispetto al potere e allo strapotere delle concezioni del mondo capitalistico dominante e delle sue classi egemoniche; e ciò fino al momento in cui le rivoluzioni anticoloniali o quelle di classe non trasformano i rapporti reali di forza.
Di conseguenza vengono giudicati positivamente tutti i fatti che rientrano nei propri quadri che rispondono ad altre concezioni e visioni del mondo.
Ciò vale soprattutto nei confronti delle società etnologiche o primitive che da molti punti di vista appaiono come le più remote dai nostri modi di vita e di pensiero e più in generale dai modi di vita delle società correntemente dette “superiori”.
Ma c’è anche una particolare forma di etnocentrismo che agisce nei rapporti interni alle società “superiori”, e che possiamo chiamare esclusivismo culturale, che consiste nel fatto che i comportamenti e le concezioni degli strati subalterni e periferici vengono rigettati fuori dai confini della cultura perché non concordi con gli atteggiamenti e i valori dei ceti dominanti e “colti”, e più in generale perché non collimanti con i modi “ufficiali” di vedere il mondo. Gli atteggiamenti etnocentrici, e l’esclusivismo culturale, precludono ovviamente la possibilità di studiare scientificamente le culture diverse dalla nostra e dunque operano in base a un pre-giudizio.
La condizione per lo studio dei gruppi socio-culturali “altri” dal nostro è dunque che si accetti di considerare come “relative” tutte le culture, ivi compresa la nostra: che si accetti insomma l’esistenza di una “pluralità di culture”, e che si adottino gli strumenti concettuali capaci di renderle tutte comprensibili.
L’atteggiamento di rifiuto dell’etnocentrismo e di accettazione della pluralità delle culture va spesso sotto il nome generale di relativismo culturale.
Il riferimento alla pluralità delle culture, imprescindibile come riconoscimento di uno stato di fatto e come assunzione di uno strumento di comprensione delle situazioni “altre” non deve trasformarsi in un’ideologia, pena la propria negazione: per questa via infatti si può giungere ad una equiparazione acritica e indiscriminata di tutte le culture, con la contradditoria conseguenza che, visto che l’una vale l’altra, tanto vale chiudersi nella propria; oppure, visto che ogni cultura si misura dall’interno, e che noi siamo all’interno della nostra e non di quelle altrui allora non c’è possibilità di capire le culture “altre”.
Il momento dell’esame interno a ciascuna cultura è solo un momento dell’indagine complessiva: quest’ultima deve integrare i risultati dell’esame in quadri contestuali più ampi nei quali alla equiparazione in linea di principio delle diverse culture deve accompagnarsi il riconoscimento delle differenze di fatto secondo criteri che non sono più quelli grossolani e inconsapevoli dell’etnocentrismo ma che tengono conto di un aspetto fondamentale e spesso trascurato dei relativisti culturali: i rapporti reali di potere, intesi in tutti i sensi, e cioè come rapporti di forza economico-politica e come diversa disponibilità di mezzi di conoscenza, controllo e trasformazione della natura.
Quando si tenga conto di questa fondamentale differenza di forze reali appare chiaro che le concezioni del mondo che diciamo etnologiche o demologiche si trovano necessariamente in condizione di inferiorità subalterna rispetto al potere e allo strapotere delle concezioni del mondo capitalistico dominante e delle sue classi egemoniche; e ciò fino al momento in cui le rivoluzioni anticoloniali o quelle di classe non trasformano i rapporti reali di forza.
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